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  • Gianni Rodari: venticinque anni dalla sua scomparsa (14.4.05)

    Biografia tratta dal sito www.giannirodari.it

    L’infanzia a Omegna
    Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna sul Lago d’Orta in cui i genitori originari della Val Cuvia nel Varesotto si trasferiscono per lavoro.

    Gianni frequentò ad Omegna le prime quattro classi delle scuole elementari. Era un bambino con una corporatura minuta e un carattere piuttosto schivo che non lega con i coetanei. È molto affezionato al fratello Cesare mentre a causa della notevole differenza di età è poco in confidenza con il fratello Mario.
    Il padre Giuseppe fa il fornaio nella via centrale del paese e muore di bronco-polmonite quando Gianni ha solo dieci anni. In seguito a questa disgrazia la madre preferisce tornare a Gavirate il suo paese natale.

    La gioventù e l’adolescenza a Gavirate e l’esperienza del seminario
    Nel varesotto vive dal 1930 al 1947.
    Frequenta la quinta elementare a Gavirate.
    Il 5 agosto 1931 fa richiesta di entrare in seminario per frequentare il ginnasio. Nell’ottobre dello stesso anno entrerà quindi nella IC del seminario di Seveso. Gianni si distingue subito per le ottime capacità e risulterà infatti il migliore della classe. Risultati che furono poi confermati anche nella seconda classe. All’inizio della classe terza, nell’ottobre 1933 si ritirò. Concluse l’anno scolastico a Varese, ma non proseguì gli studi liceali bensì optò per le scuole Magistrali. Frequentò con profitto la quarta classe nel 1934-35 e venne ammesso al triennio superiore. Il 25 febbraio 1937 abbandonò gli studi per presentarsi alla sessione estiva con l’intento di sostenere direttamente gli esami e guadagnare così un anno.
    Già a partire dal 1935 Rodari militava nell’Azione Cattolica. Dai verbali delle adunanze di Gavirate risulta che nel dicembre dello steso anno Gianni svolgeva già la funzione di presidente. Anche l’anno successivo fu dedicato molto all’organizzazione cattolica.
    Nel 1936 pubblicò otto racconti sul settimanale cattolico L’azione giovanile e iniziò una collaborazione con Luce diretto da Monsignor Sonzini.
    Nel 1937 iniziò un periodo di profondi cambiamenti. Nel marzo lasciò la presidenza dei giovani gaviratesi dell’Azione cattolica e da allora i rapporti con questa si allentarono molto. Tra la primavera e l’estate il suo massimo impegno venne dedicato allo studio e a soli 17 anni conseguì il diploma magistrale.
    In quegli stessi anni Rodari leggeva molto e amava la musica. Andò per tre anni a lezione di violino. Molto sensibile, si confidava solo con pochi amici. Aveva una grande curiosità intellettuale e cominciò a leggere le opere di Nietzsche, Stirner, Schopenhauer, Lenin, Stalin e Trotzkij. “Queste opere, – commenta- ebbero due risultati: quello di portarmi a criticare coscientemente il corporativismo e quello di farmi incuriosire sul marxismo come concezione del mondo”.
    Nel 1939 si iscrive all’Università cattolica di Milano, alla facoltà di lingue. Abbandonerà poi l’esperienza universitaria dopo alcuni esami, ma senza laurearsi. Nel frattempo inizia ad insegnare in diversi paesi del varesotto.
    Nel 1940, quando l’Italia entra in guerra Rodari viene dichiarato rivedibile e non viene richiamato alle armi.
    Nel 1941 vince il concorso per maestro ed incomincia ad insegnare ad Uboldo come supplente. Fu un periodo molto duro di cui ha un forte ricordo. Si iscrive al partito fascista e accettò di lavorare nella casa del fascio pur di tirare avanti. I drammatici avvenimenti della guerra lo colpiscono profondamente negli affetti personali quando apprende la notizia della morte degli amici Nino Bianchi e Amedeo Marvelli, mentre il fratello Cesare nel settembre del 1943 viene internato in un campo di concentramento in Germania.
    Subito dopo la caduta del fascismo Gianni Rodari si avvicina al Partito Comunista, a cui si scrive nel 1944 e partecipa alle lotte della resistenza.

    Gli anni del giornalismo politico tra Milano e Roma
    Subito dopo la guerra viene chiamato a dirigere il giornale “Ordine Nuovo”, nel 1947 viene chiamato all’Unità a Milano, dove diventa prima cronista, poi capo cronista ed inviato speciale.

    Mentre lavora come giornalista incomincia a scrivere racconti per bambini. Nel 1950 il Partito lo chiama a Roma a dirigereil settimanale per bambini, il “Pioniere”, il cui primo numero esce il 10 settembre 1950. Nel 1952 compie il primo dei diversi viaggi che farà Urss.

    In quegli anni pubblica Il libro delle filastrocche ed il Romanzo di Cipollino. Nel 1953 sposa Maria Teresa Feretti, dalla quale quattro anni dopo ha la figlia Paola.
    Dal settembre 1956 al novembre 1958 torna a lavorare all’Unità diretta da Ingrao. Farà l’inviato e poi il responsabile della pagina culturale e infine il capocronista. Nel 1957 supera l’esame da giornalista professionista.
    Il 1° dicembre 1958passa a lavorare a Paese sera. Si realizza finalmente la scelta che contrassegnerà tutta la sua vita: affiancare al lavoro di scrittore per l’infanzia quello di un giornalismo politico non partitico.

    Gli anni della scrittura per l’infanzia e della notorietà
    Nel 1960 incomincia a pubblicare per Einaudi e la sua fama si diffonde in tutta Italia. Il primo libro che esce con la nuova casa editrice è Filastrocca in cielo ed in terra nel 1959.
    Solo nel 1962-63 raggiunge una certa tranquillità economica grazie alla collaborazione a La via migliore e a I quindici.

    Dal 1966 al 1969 Rodari non pubblica libri, limitandosi a una intensa attività di collaborazioni per quanto riguarda il lavoro con i bambini. Lascia Paese sera e nel l970 vince il Premio Andersen, il più importante concorso internazionale per la letteratura dell’infanzia, che accresce la sua notorietà in tutto il mondo.
    Nel 1970Ricomincia a pubblicare per Einuadi ed Editori Riuniti, ma la sua prodigiosa macchina creativa non sembra più girare a pieno regime. Non è solo a causa del grande successo, ma anche della grande mole di lavoro e della sua condizione fisica.
    Nel 1974 si impegna nel rilancio del Giornale dei genitori, ma subito cerca di disimpegnarsi. Cosa che accadrà agli inizi del 1977.
    Al ritorno da un viaggio in Urss Gianni Rodari nel 1979 comincia ad accusare i primi problemi circolatori che lo porteranno alla morte dopo un intervento chirurgico il 14 aprile del 1980.

     

  • Un passo verso l’approvazione della riforma in materia di contrasto dello sfruttamento sessuale dei bambini (3.8.05)

    Un passo verso l’approvazione della riforma in materia di contrasto dello sfruttamento sessuale dei bambini
    di Joseph Moyersoen

    In data 7 Luglio è stato assegnato con il numero S 3503 alle Commissioni riunite II (Giustizia) e Commissione speciale in materia d’infanzia e di minori in sede referente del Senato della Repubblica, il disegno di legge C 4599 approvato il 14 giugno dalla Camera dei Deputati recante “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia”.

    continua

     


  • Bambini scomparsi (25.8.05)

    Ministero dell’Interno
    Dipartimento della Pubblica Sicurezza
    Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato

    Servizio Centrale Operativo

    Ogni anno in Italia le Forze dell’ordine ricevono oltre 3000 denunce per scomparsa relative a minorenni.

    Questa cifra, a prima vista elevatissima, comprende numerose situazioni: minori, sia italiani che stranieri, che si allontanano volontariamente da casa o dalle comunità cui sono affidati; minori che, dopo una conflittuale separazione dei genitori, vengono sottratti da un coniuge all’altro, e infine minori di cui si perdono le tracce o che vengono realmente rapiti.

    L’incidenza di questi ultimi casi è fortunatamente minima e irrilevante sotto il profilo statistico ma è ovviamente drammatica per le famiglie coinvolte.

    Anche se oltre l’80% dei casi si risolvono entro un anno (spesso le famiglie non si preoccupano di segnalare la positiva conclusione della vicenda alle Forze di polizia), si tratta comunque di un rilevante fenomeno sociale, cui ha fatto riscontro una forte sensibilità istituzionale.

    Sono nate così una serie di iniziative che hanno positivamente inciso sull’organizzazione degli Uffici di polizia: in particolare, dopo la promulgazione della legge n° 66 del 1996 sulla “violenza sessuale”, con la circolare ministeriale n° 123/A1/130/3/54 dell’8 maggio 1996, sono stati istituiti presso tutte le Questure del territorio nazionale gli Uffici Minori.

    La loro funzione è sostanzialmente quella di “pronto soccorso” nei riguardi delle esigenze dei minori e delle famiglie in difficoltà, nonché di raccordo con gli altri enti ed organismi che si occupano di problematiche dell’infanzia (come gli Enti Locali ed i servizi socio assistenziali, i Tribunali per i Minorenni, i Centri per la Giustizia Minorile, le associazioni di volontariato ecc).

    Questo approccio al problema, denominato “Progetto Arcobaleno”, è stato coordinato dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza che ha istituito, fin dal maggio 1996, all’interno della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, un’apposita “Sezione Minori”, col compito di monitorare il fenomeno sul territorio nazionale e di assicurare un quotidiano scambio di informazioni tra gli Uffici centrali e quelli periferici.

    All’indomani della promulgazione della Legge 269/1998, il ruolo della Sezione Minori è stato reso ancor più rilevante attraverso il Decreto Ministeriale del 30 ottobre 1998, che ha istituito, nell’ambito delle Squadre Mobili, le Sezioni Specializzate nella trattazione di indagini inerenti ai minori e i Nuclei di Polizia Giudiziaria – Uffici Minori presso le Divisioni Anticrimine di tutte le Questure.

    Questi uffici debbono trasmettere le informazioni raccolte alla Direzione Centrale della Polizia Criminale proprio per consentire alla Sezione Minori di delineare un quadro evolutivo del fenomeno.

    Sempre alla “Sezione Minori” compete la gestione di questo sito, www.bambiniscomparsi.it, concepito nel 2000, che pubblica i casi di scomparsa con le foto dei minori ed ogni altra notizia utile al loro ritrovamento.

    Il personale della “Sezione Minori” ha seguito, nell’ottobre 2003, presso la sede del NCMEC ad Alexandria, Washington D.C., un apposito corso per l’applicazione delle tecniche denominate di “Age Progression” che consentono di visualizzare gli effetti del trascorrere del tempo sul volto del bambino scomparso.

    Il sito www.bambiniscomparsi.it è collegato ad un network internazionale di altri siti dedicati al ritrovamento dei bambini scomparsi, coordinato dal National Centre for Missing and Exploited Children (NCMEC).

     

     

  • Dal discorso del Presidente della Repubblica Ciampi per il 60° anniversario della FAO (17 ottobre 2005)

    “Una società che spende centinaia di miliardi in armamenti e consente che ogni anno muoiano di fame cinque milioni di bambini è una società malata di egoismo e di indifferenza”.

    Dal discorso del Presidente della Repubblica Ciampi per il 60° anniversario della FAO – 17 ottobre 2005. Per leggere il testo integrale dell’intervento, vai al sito: www.quirinale.it

     


  • Dolore per la scomparsa di Alfredo Carlo Moro (19.11.05)

    Il presidente, il consiglio direttivo e i soci tutti dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia
    piangono il loro maestro ed amico
    ALFREDO CARLO MORO

    per lunghi anni presidente dell’Associazione, giurista insigne, fondatore ed artefice della scienza del diritto minorile, guida ed esempio per intere generazioni di magistrati, e partecipano commossi al dolore dei familiari.
    Roma, 19 novembre 2005


  • Apertura dei lavori congressuali e commemorazione di Alfredo Carlo Moro (2.12.05)

    Apertura dei lavori congressuali e commemorazione di Alfredo Carlo Moro
    di Pasquale Andria

    Nell’intervento di apertura del XXIV Congresso nazionale AIMMF “Fragilità nei minori e nella famiglia. Le norme sensibili, la giustizia sensibile”, il Presidente dell’AIMMF ha ricordato Alfredo Carlo Moro, illustre figura di Magistrato minorile, più volte Presidente della nostra Associazione, recentemente scomparso.

    vai al testo

     


  • Affido dei figli: cambia la legge. Divisi sì, ma genitori sempre (25.1.06)

    Affido dei figli: cambia la legge. Divisi sì, ma genitori sempre.

    (dal sito www.repubblica.it)

    Affido condiviso. In nottata, sì definitivo anche all’affido condiviso. Le commissioni Giustizia e Tutela dell’infanzia di Palazzo Madama hanno approvato in sede deliberante il provvedimento. Dopo due anni di scontri e confronti, le nuove norme che modificano il codice civile sono legge. Favorevoli maggioranza e Margherita; astenuti Ds (fatta eccezione per un senatore) e Verdi.

    La nuova legge stabilisce il principio della bigenitorialità, e cioè che madre e padre possono lasciarsi, separarsi o risposarsi, ma restano entrambi e per sempre genitoridei propri figli, con gli identici diritti e i medesimi doveri. Non più ore, giorni, settimane dell’anno precise nelle quali poter stare con il bambino; non più un solo genitore (quello affidatario) a decidere e assumersi la responsabilità delle scelte più importanti nella vita dei figli. “D’ora in poi – sottolinea la senatrice Baio Dossi correlatrice del testo – in casi di separazione anche se conflittuale il giudice opterà per affidare il minore a tutti e due i genitori. Va da sé che poi il figlio vivrà prevalentemente presso uno dei due. Ma nel rispetto dei comuni accordi. E dove l’accordo non c’è, nei casi di grave conflitto interverrà il giudice. E’ una scelta coraggiosa – conclude la senatrice – che dice sì ad una legge destinata a modificare una società senza padri. Fino ad oggi il genitore affidatario, in circa l’84% dei casi, è stata la madre. Non si tratta di costringere i genitori ad andare d’accordo, ma di attuare scelte responsabili e di porre in essere comportamenti civili al solo fine di salvaguardare i figli”.


  • Alfredo Carlo Moro: Ricordo di un maestro e di un amico (21.2.06)

    Alfredo Carlo Moro: Ricordo di un maestro e di un amico

    Luigi Fadiga
    Ricordo di un maestro e di un amico

    Saranno tre mesi domani, che Alfredo Carlo Moro – Carlo, per gli amici – ci ha lasciato.

    Lo ha fatto com’era nel suo carattere: con grande discrezione, con riserbo, direi quasi con pudore, dopo una rapida e improvvisa malattia che lo ha colto nel pieno della sua attività. Un’attività così piena, così vigorosa, che la primissima reazione alla notizia della sua morte è stata, per me e per molti, non quella del dolore ma quella dell’incredulità.

    Carlo ?? com’è possibile ? con tutto quello che c’è da fare ?

    Ho conosciuto Carlo Moro all’inizio degli anni settanta, quando egli era presidente dell’Associazione dei giudici minorili e di quel tribunale per i minorenni di Roma dove vent’anni dopo, quando toccò a me reggere quell’ufficio, era ancora ricordato e rimpianto da numerosi colleghi.

    A quell’epoca io ero un giovanissimo giudice del tribunale per i minorenni di Bologna, la mia città, dov’era presidente Italo Cividali, mio primo carissimo maestro. Italo Cividali e Giuseppe Delfini, suo predecessore non meno illustre, venivano spesso a Roma per riunioni dell’Associazione dei giudici minorili o per commissioni di studio, ed io, riverentemente, li seguivo.

    Le riunioni si svolgevano in via delle Zoccolette, in un palazzotto d’angolo tra il Lungotevere e via Arenula, dove allora aveva sede il tribunale per i minorenni di Roma. Ricordo come fosse ora la stanza del presidente, con delle lunghe tende scure e polverose e un grande divano verde sfondato, che non finiva mai di meravigliarmi. Pensavo: ma perché non lo cambiano? non sapevo ancora, quella volta, quanto poco la giustizia minorile stesse a cuore ai nostri governanti e al nostro ministero.

    Più di Cividali, che sentivo fratello, più ancora di Delfini, che per noi giovani magistrati bolognesi era una specie di nonno buono, Carlo Moro mi faceva soggezione e mi incuteva un timore reverenziale. Ma, sentendolo parlare, seduto piuttosto scomodo ed in rispettoso silenzio su quel divano verde sfondato, la soggezione passava in fretta, lasciando il posto a un’emozione diversa: una grande curiosità mista ad un grande entusiasmo per quello che Carlo andava dicendo e per gli orizzonti che ci apriva.

    C’era poi una simpatica consuetudine: di continuare la discussione nella trattoria di Evangelista, a quell’epoca un umido scantinato di via delle Zoccolette, dove per poche migliaia di lire si mangiavano dei meravigliosi carciofi al mattone, variante dietetica non fritta dei carciofi alla giudìa. Dietetica si fa per dire: perché, prima e dopo i carciofi, e anche qui sotto la guida sapiente di Carlo, ho scoperto con non minore emozione gli spaghetti cacio e pepe e i filetti di baccalà, cibi del tutto ignoti alla natia Bologna.

    Erano gli anni in cui si discuteva di come riformare la giustizia minorile; scossa dai fermenti della contestazione giovanile, che rifiutava talora con violenza i ruoli di autorità e di controllo sociale. L’intero sistema amministrativo dei tribunali per i minorenni, ricostruito vent’anni prima da quel pioniere che fu Uberto Radaelli, era sotto accusa, e sembrava che per il giudice minorile non vi fosse più spazio alcuno.

    In quel difficile clima, un piccolo gruppo di colleghi che a noi parevano anziani ma che avevano sì e no cinquant’anni, riusciva a trovare lo stretto sentiero che non soltanto recuperava la ragion d’essere del giudice minorile, ma anzi ne preparava il rilancio: il sentiero dei diritti del minore. Non posso qui tacere i nomi di almeno alcuni di loro. Italo Cividali, a me carissimo, e Paolo Vercellone, entrambi ancora con noi e ancora attivi. E poi Giuseppe Delfini, il nostro buon nonno bolognese; e poi Giampaolo Meucci e Giorgio Battistacci, che purtroppo ci hanno prematuramente lasciato.

    Con questi e tra questi, Carlo Moro: che spiccava per la organicità e la lucidità del suo pensiero e per la paziente tenacia con cui perseguiva la meta.

    Carlo faceva parte allora della Commissione ministeriale di studio per i problemi minorili, istituita presso il Ministero della giustizia. Era il 1974, ed era alle porte una serie imponente di riforme che toccavano molto da vicino la giustizia minorile senza tuttavia rispettarne i principi, che rischiavano di rimanere stravolti o addirittura travolti. Preoccupava in maniera particolare la riforma del processo penale, a cui lavorava la prima commissione Pisapia. Carlo seppe difendere con vigore il diritto del minore ad essere giudicato dal suo giudice, gettando così i semi di quello che più tardi sarebbe divenuto il nuovo processo penale minorile.

    In quei difficili anni settanta, la giustizia minorile era fortemente impegnata nel campo dell’adozione dei minori abbandonati. Gli istituti assistenziali erano affollati da circa duecentomila bambini e ragazzi (oggi, sono poche migliaia); e la nuova e rivoluzionaria legge Dal Canton del 1967 sull’adozione speciale incontrava resistenze e ostacoli in nome del vincolo del sangue e di concezioni arcaiche della patria potestà. Le sentenze con le quali noi, giovani giudici di tribunale, dichiaravamo lo stato di abbandono, venivano sistematicamente annullate dalle corti di appello. Così, la corte d’appello di Palermo dichiarava non essere in stato di abbandono l’orfano di genitori abbienti periti in un disastro aereo, in considerazione del cospicuo patrimonio da lui ereditato; così un’altra corte dubitava della costituzionalità della nuova legge che non permetteva al genitore di mettere il figlio in istituto e di lasciarvelo a suo piacimento.

    Quando più acceso era il contrasto, ecco uscire un volume che fu per noi di incoraggiamento e di sprone, direi quasi di sollievo: la monografia di Carlo Moro su L’adozione speciale, édita da Giuffré nel 1976. E’ difficile spiegare l’emozione provata vedendo scritti (e da chi scritti) quei concetti e quei principi nei quali ci riconoscevamo, e che i giudici “superiori” neanche troppo velatamente irridevano. Ed è in quel volume, di trent’anni or sono, che si parla apertamente e per la prima volta di diritto alla famiglia, non nella troppo lodata legge 149 del 2001, i cui frettolosi elogiatori neppure immaginano che quei concetti e quelle idee erano stati già affermati un quarto di secolo prima da Alfredo Carlo Moro.

    Scriveva Carlo in quelle pagine:

    “L’insufficiente riconoscimento dei diritti del minore … trova la sua logica radice in una concezione del minore come speranza di uomo più che come persona fornita di una sostanziale pienezza di umanità che deve essere sviluppata ed affinata.

    Il minore non è un individuo che attraverso un processo educativo diviene persona, secondo una equivoca e per molti aspetti infelice formula di Carnelutti. Ogni uomo, solo per il fatto di essere tale … ,è persona, e conseguentemente soggetto e beneficiario dell’ordinamento giuridico. La semplice qualità umana deve essere sufficiente a rendere il soggetto portatore potenziale di tutti gli interessi giuridici tutelati dal sistema, nonché titolare di un insieme di diritti e di garanzie che si collegano alla sua personalità: il valore fondamentale che ogni persona porta in sé è infatti presente qualunque sia il grado del suo sviluppo fisico o psichico.”

    Ed ancora: “L’ordinamento ha operato una pericolosa … scissione tra soggettività giuridica da una parte e capacità giuridica dall’altra, riconoscendo la prima a tutti gli esseri umani ma riducendo la seconda in maniera tale da pregiudicare gravemente l’affermazione meramente teorica che tutti sono ugualmente soggetti di diritto. E’ avvenuto ieri per la donna; avviene oggi per i minori, a cui sono riconosciuti quasi esclusivamente diritti nel campo patrimoniale, e cioè lì dove meno sono coinvolti i bisogni fondamentali della persona”(op. cit., pp. 20-21).

    Nel campo dell’adozione dell’infanzia abbandonata, intesa come espressione massima dei diritti del minore da un lato e della cultura dell’accoglienza dall’altro, Carlo Moro è stato particolarmente attivo anche in seguito. Molto forte è stato il suo impegno nella preparazione della legge 4 maggio 1983 n. 184, che ancora oggi, malgrado i guasti operati dalla legge 149 del 2001, reca la sua impronta e costituisce il testo fondamentale in materia di adozione e di affidamento dei minori. Ma addirittura determinante è stata la sua opera in materia di adozione internazionale. La legge 31 dicembre 1998 n. 476, che ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 1993 e che ha finalmente disciplinato un delicato settore lasciato troppo a lungo in balia degli interessi degli adulti, è in gran parte opera sua, e ne ricordo bene il rammarico quando vedeva che i lavori parlamentari, per esigenze di compromesso politico, ne stravolgevano alcune norme.

    A Carlo Moro si deve poi il disegno di legge sulla riforma della giustizia minorile presentato al Senato nel corso della IX Legislatura dal Guardasigilli dell’epoca on.le Mino Martinazzoli. Quel testo non raggiunse purtroppo l’Aula. Esso tuttavia rappresenta il primo tentativo organico di razionale sistemazione dell’intera materia dopo la legge minorile del 1934, e costituisce una miniera di idee e di proposte innovative alla quale lo stesso legislatore ha successivamente attinto a piene mani.

    Di quelle proposte ne citerò solo alcune. In materia penale: l’art. 65, divenuto poi l’art. 27 (proscioglimento per irrilevanza del fatto) del d.p.r. 448/1988 sul nuovo processo penale minorile; l’art. 66, divenuto l’art. 28 (sospensione del processo e messa alla prova); l’art. 83, divenuto l’art. 10 (inammissibilità dell’azione civile nei procedimenti penali davanti al tribunale per i minorenni); art. 71, divenuto l’art. 11 (specializzazione dei difensori del minore). Nella materia civile: gli interventi a protezione del minore in difficoltà (art. 37), vale a dire il cosiddetto “civile rafforzato”: primo serio tentativo di colmare lo squilibrio creatosi con il tramonto delle misure rieducative risalenti alla riforma degli anni cinquanta; l’assistente per la protezione del minore (art. 33); l’ufficio di pubblica tutela (art. 93).

    Quest’ultimo tema fu a Carlo Moro particolarmente caro. Egli era convinto che nella protezione del minore dovesse essere coinvolta la comunità sociale di appartenenza, attraverso forme di partecipazione diretta dei suoi componenti; e che fosse inoltre necessario un soggetto istituzionale specifico, esterno alla giurisdizione, col ruolo di promotore e di garante dei diritti anche nei confronti della pubblica amministrazione. Questo suo disegno, che in alcune zone del Paese ha trovato parziale realizzazione, a livello nazionale è rimasto purtroppo solo un progetto: ma non è azzardato affermare che prima o poi darà i suoi frutti, come tante altre sue fertili idee.

    Qui va anche ricordato il contributo dato da Carlo Moro ai Rapporti annuali sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, dei quali egli fu dal 1996 al 2001 curatore scientifico, e, nel 1998, il Rapporto alle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza: rapporti realizzati da quel Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’infanzia e l’adolescenza, di cui Carlo stesso fu ideatore e fondatore e, sino all’inizio dell’ultima legislatura, infaticabile ed insuperato animatore.

    Ed è proprio attraverso quei Rapporti che si può cogliere l’ampiezza dell’angolo di visuale di Carlo Moro. La sua opera e la sua attività scientifica non si sono limitate al campo pure così fecondo della giustizia minorile, ma si sono allargate a tutto l’arco del rapporto tra minori ed ordinamento giuridico, riuscendo a dare organicità e dignità scientifica a un insieme di norme giuridiche prima sparso ed incoerente. Il suo Manuale di diritto minorile, giunto ormai alla terza edizione, rappresenta l’apice di questo percorso. Accanto alle tradizionali categorie del civile e del penale –significativamente chiamate da Moro “ minore e famiglia”; “minore e recupero sociale” – un’intera parte del volume, la terza, è dedicata ai diritti del minore nella vita sociale. Là si prendono in esame i rapporti fra minore e salute; minore e lavoro; minore e scuola; minore e massa media: in un insieme organico che ben merita il titolo innovativo (e purtroppo ancora ignoto alle classificazioni ministeriali degli insegnamenti di giurisprudenza) di diritto minorile.

    La rivista Bambino incompiuto, che Carlo Moro fondò e diresse dal 1984, testimonia ulteriormente il suo pensiero e il valore innovativo di questo approccio. Esso è basato sulla centralità del minore, sulla sua dignità di persona, sul suo diritto a un pieno e completo svolgimento del processo educativo e socializzatore. Sorta come espressione della neonata Associazione Italiana per la Prevenzione dell’Abuso all’infanzia, promossa dallo stesso Moro e presieduta da Renata Gaddini, Bambino incompiuto fu la prima rivista interculturale dedicata ai temi dell’infanzia e dell’età evolutiva, volta a creare , come precisava il sottotitolo, “una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza”. Era rivolta ai giudici, ai servizi e al volontariato, vale a dire a tutti coloro che operano a contatto con il mondo dei giovani. Sociologi come Gianni Statera, psichiatri come Glauco Carloni, pediatri come Emiliano Rezza, giuristi come Giuseppe Franchi, accolsero l’invito di Carlo Moro, ne condivisero gli scopi, e per molti anni fecero parte attiva del comitato scientifico della rivista.

    Purtroppo, nel 1996 la rivista cessò le pubblicazioni. Ma quella spinta concorde ed entusiasta verso una nuova cultura dell’infanzia promossa da Carlo Moro non è stata certo vana, e ha dato ancora frutti numerosi e importanti. E se più tardi ciò non più è avvenuto, questo non va attribuito a debolezza delle sue idee e delle sue proposte, ma va addebitato invece alla miopia e all’incapacità di coloro cui spettava raccoglierne il messaggio a livello politico e legislativo.

    E proprio questo turbava Carlo Moro in questi ultimi anni, e questo è stato per noi il suo ultimo messaggio: la caduta di un’autentica cultura dell’infanzia e del rispetto della persona del bambino; l’emergere di una cultura dell’appropriazione dei figli da parte dei genitori; del diritto ad una genitorialità comunque procurata e pagata; del rifiuto di ogni controllo sull’esercizio del potere dei genitori sui figli: “il ritorno, sia pure in forme diverse, alla vecchia figura del padre padrone, a cui si aggiunge la non meno conturbante figura della madre padrona”. Così scriveva Carlo, nell’ultimo suo contributo uscito postumo su MinoriGiustizia (numero 3/2005) la rivista dell’Associazione dei giudici minorili alla quale spesso collaborava e alla quale voleva bene.

    Com’è facile immaginare, le altre cose che Carlo ha fatto e ha scritto, e che ho tralasciato di ricordare, sono assai più di quelle che ho detto, e sono tutte importanti, utili, belle e buone. Mi scuso per queste omissioni. Ma il mio intervento non voleva essere un catalogo, bensì una testimonianza personale di affetto e di riconoscenza verso chi, per tanti anni, ha saputo starci accanto come maestro e come amico, con una discrezione e con una delicatezza che fanno adesso sentire ancora più acuta la perdita.

    Grazie, Carlo, per tutto ciò che hai fatto per noi e per il nostro Paese.

     

  • Fragilità psichiatrica. Gli interventi del servizio (21.3.06)

    24° Convegno dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e la Famiglia
    Firenze, 24-27 novembre 2005

    Fragilità psichiatrica. Gli interventi del servizio
    di Maria Grazia Martinetti*

    L’attenzione continuativa a questi temi corrisponde a tre principali fonti:

    1) l’attività clinica svolta presso la SOD universitaria di NPI, con le risposte costruite in quest’anni in un ottica di collaborazione/integrazione dei servizi della salute mentale infanzia adolescenza, nei differenti percorsi assistenziali individuati, con una complessa presa in carico che spesso accompagna questi ragazzi e le loro famiglie per tutto l’arco dell’infanzia e dell’adolescenza;

    2) l’attività di ricerca in questo specifico campo che ha prodotto differenti ricerche-intervento, una longitudinale durata 9 anni relativa a un gruppo di bambini, di età fra i 6 mesi e i 4 anni, ospitati su sentenza del tribunale dei Minori, per incompetenza genitoriale della famiglia d’origine (grave instabilità del nucleo famigliare, deprivazione, violenza), presso una delle principali strutture di accoglienza della regione Toscana (Martinetti e Stefanini 2003), altre ricerche di tipo catamnestico e di indicatori sulle competenze e fragilità psicopatologiche, di cui alcune in corso presso comunità riabilitative che ospitano bambini e ragazzi provenienti da situazioni di famiglia multiproblema;

    3) la consuetudine alla riflessione comune nell’ampia attività di formazione portata avanti con i servizi della salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza in questi anni.

    continua

    *Professore associato in NPI – Università di Firenze