Categoria: Attualità

  • Messaggio del Presidente Ciampi alle Camere sull’Ordinamento Giudiziario (22.12.04)

    Messaggio del Presidente Ciampi alle Camere sull’Ordinamento Giudiziario

    Il Presidente della Repubblica

    Roma, 16 dicembre 2004

    Signori Parlamentari,
    in data 3 dicembre 2004, mi è stata inviata per la promulgazione la legge:

    “Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico”.
    Il relativo disegno di legge, presentato dal Governo al Senato della Repubblica il 29 marzo 2002, è stato approvato il 21 gennaio 2004; modificato dalla Camera dei Deputati il 30 giugno 2004; nuovamente modificato dal Senato il 10 novembre 2004 e, quindi, approvato in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 1 dicembre 2004.
    La legge in esame – preordinata com’è a dare attuazione alla VII disposizione transitoria, primo comma, della Costituzione – rappresenta un atto normativo di grande rilievo costituzionale e di notevole complessità, come è confermato anche dalla ampiezza del dibattito cui ha dato luogo.
    La riforma tocca punti cruciali e nevralgici dell’ordinamento giurisdizionale, il che mi ha imposto un attento confronto con i parametri fissati dalle norme e dai principi costituzionali che lo disciplinano.

    Ciò premesso, espongo qui di seguito quanto da me rilevato.

    1. L’articolo 2, comma 31, lettera a), così recita: “(Relazioni sull’amministrazione della giustizia). 1. Entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il Ministro della giustizia rende comunicazioni alle Camere sull’amministrazione della giustizia nel precedente anno e sulle linee di politica giudiziaria per l’anno in corso…”.
    Questa norma, laddove prevede che le comunicazioni del Ministro della giustizia alle Camere comprendono le “linee di politica giudiziaria per l’anno in corso”, si pone in evidente contrasto con le seguenti disposizioni costituzionali: con l’articolo 101, in base al quale i giudici “sono soggetti soltanto alla legge”; con l’articolo 104, secondo cui la magistratura “costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”; con l’articolo 110, che, nel definire le attribuzioni del Ministro della giustizia, le limita – “ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura” – alla “organizzazione” e al “funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”.
    La norma approvata dalle Camere configura un potere di indirizzo in capo al Ministro della giustizia, che non trova cittadinanza nel titolo IV della Costituzione, in base al quale l’esercizio autonomo e indipendente della funzione giudiziaria è pienamente tutelato, sia nei confronti del potere esecutivo, sia rispetto alle attribuzioni dello stesso Consiglio superiore della magistratura.
    Aggiungo che l’indicazione di obiettivi primari che l’attività giudiziaria dovrebbe perseguire nel corso dell’anno (“linee di politica giudiziaria”) determina di per sé la violazione anche dell’articolo 112 della Costituzione, in base al quale “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”: il carattere assolutamente generico della formulazione della norma in esame crea uno spazio di discrezionalità politica destinato ad incidere sulla giurisdizione.

    2. Strettamente connessa a quella appena esaminata è la questione posta dal criterio direttivo della delega indicato dall’articolo 2, comma 14, lettera c): “istituzione presso ogni direzione generale regionale o interregionale dell’organizzazione giudiziaria dell’ufficio per il monitoraggio dell’esito dei procedimenti, in tutte le fasi o gradi del giudizio, al fine di verificare l’eventuale sussistenza di rilevanti livelli di infondatezza giudiziariamente accertata della pretesa punitiva manifestata con l’esercizio dell’azione penale o con mezzi di impugnazione ovvero di annullamento di sentenze per carenze o distorsioni della motivazione, ovvero di altre situazioni inequivocabilmente rivelatrici di carenze professionali.”.
    Anche questa disposizione si pone in palese contrasto con gli articoli 101, 104 e 110 della Costituzione. Infatti, se si considera la finalità espressamente indicata dalla norma, risulta evidente che il monitoraggio dell’esito dei procedimenti – fase per fase, grado per grado – affidato a strutture del Ministero della giustizia, esula dalla “organizzazione” e dal ‘funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”, che costituiscono il contenuto e il limite costituzionale delle competenze del Ministro.
    Inoltre, da questa forma di monitoraggio, avente ad oggetto il contenuto dei provvedimenti giudiziari, deriva un grave condizionamento dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni; in particolare, il riferimento alla possibilità di verificare livelli di infondatezza “della pretesa punitiva manifestata con l’esercizio dell’azione penale” integra una ulteriore violazione del citato articolo 112 della Costituzione.

    3. Parimenti riferita alla posizione del Ministro della Giustizia è l’altra questione riguardante la facoltà di impugnativa a lui attribuita dall’articolo 1, comma 1, lettera m), a norma del quale lo stesso Ministro è “legittimato a ricorrere in sede di giustizia amministrativa contro le delibere (del Consiglio superiore della magistratura) concernenti il conferimento o la proroga di incarichi direttivi adottate in contrasto con il concerto o con il parere previsto al n. 3)”.
    Tale previsione contrasta palesemente con l’articolo 134 della Costituzione nella parte in cui stabilisce che è la Corte Costituzionale a giudicare sui “conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato”, compresi quindi i conflitti tra Consiglio superiore della magistratura e Ministro della giustizia relativi alle procedure per il conferimento o la proroga degli incarichi direttivi.
    Sul punto la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi più volte, segnatamente nelle sentenze n. 379 del 1992 e n. 380 del 2003. In quest’ultima, ha affermato, in particolare, che gli articoli 105 e 110 della Costituzione disegnano un sistema di precisa ripartizione delle autonome sfere di competenza del Consiglio superiore e del Ministro e che questi “non ha un generale potere di sindacato intrinseco, né tanto meno di riesame, sul contenuto degli apprezzamenti e scelte discrezionali operate dal Consiglio superiore della magistratura rispetto a valutazioni attribuite alla definitiva deliberazione del Consiglio stesso”.
    Ne consegue che, in tema di conferimento o di proroga degli incarichi direttivi, il rapporto tra Consiglio e Ministro implica soltanto un “vincolo di metodo”. Tale vincolo impedisce il ricorso agli ordinari mezzi di impugnazione, una volta che il “confronto” – per usare l’espressione della Corte Costituzionale – sia avvenuto “a seguito di un esame effettivo ed obiettivo, dialetticamente svolto”. In caso contrario, il Ministro assumerebbe il ruolo di titolare di un interesse legittimo contrapposto a quello del Consiglio superiore, parificabile a quello del controinteressato che si dolga di essere stato escluso.
    La Corte Costituzionale nelle citate sentenze ha affermato che “il Ministro deve dare corso al procedimento non essendo investito di particolari poteri di rinvio o di riesame, ricadendo su di lui il dovere di adottare l’atto di propria competenza”; ed ancora, che “non spetta al Ministro della giustizia non dare corso alla controfirma del decreto del Presidente della Repubblica di conferimento di ufficio direttivo (ed ora anche di proroga) sulla base di deliberazione del Consiglio superiore della magistratura”.

    4. Altra questione di fondamentale importanza è quella della menomazione dei poteri del Consiglio superiore della magistratura risultante da diverse disposizioni della legge delega.
    A tale proposito, ricordo che, in base all’articolo 105 della Costituzione “Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”.
    Tali poteri del Consiglio superiore risultano – in palese contrasto con il dettato costituzionale – sensibilmente ridimensionati, in quanto il sistema delineato nella legge delega colloca al centro di ogni procedura concorsuale la Scuola superiore della magistratura, struttura esterna al Consiglio superiore, e apposite commissioni, anch’ esse esterne allo stesso Consiglio.
    Infatti, secondo quanto dispone l’articolo 2, comma 1, lettera L numeri 3.1 e 3.2, il Consiglio superiore deve assegnare i posti ai magistrati “che abbiano frequentato con favorevole giudizio finale un apposito corso di formazione alle funzioni di secondo grado presso la Scuola superiore della magistratura” e “che risultino positivamente valutati nel concorso” per titoli ed esami o nel concorso per titoli “previsto dalla lettera F) numero 2”, prima e seconda parte. Nello stesso senso recitano le disposizioni contenute nei numeri 4.1, 4.2, 7.1, 7.2, 9.1 e 9.2 della lettera L), nonché, per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa, nei numeri 1 e 3 della lettera g) e, per le funzioni direttive, nel numero 17 della lettera H) e nel numero 6 della lettera I).
    L’assegnazione da parte del Consiglio superiore della magistratura deve
    avvenire “secondo l’ordine di graduatoria di cui rispettivamente al concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, o al concorso per soli titoli, salvo che vi ostino specifiche e determinate ragioni delle quali deve fornire dettagliata motivazione e, a parità di graduatoria, secondo l’anzianità di servizio” (articolo 2, comma 1, lettera L), numero 3.5). Nello stesso senso recitano le disposizioni contenute nei numeri 4.5, 7.5 e 9.5 della lettera L) e, per le funzioni semidirettive, nel numero 2 della lettera M).
    Il sistema sopra delineato sottopone sostanzialmente il Consiglio superiore della magistratura a un regime di vincolo che ne riduce notevolmente i poteri definiti nel citato articolo 105 della Costituzione.
    L’invasione della sfera di competenza riservata al Consiglio è particolarmente evidente nell’ipotesi in cui i candidati siano stati esclusi nell’ambito delle predette procedure. Infatti, allorché manchino il favorevole giudizio conseguito presso la Scuola superiore o la positiva valutazione nel concorso da parte della commissione, il Consiglio non può neppure prendere in considerazione la posizione del candidato escluso.

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    Per i motivi di palese incostituzionalità innanzi illustrati, chiedo alle Camere – a norma dell’articolo 74, primo comma, della Costituzione – una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 3 dicembre 2004.
    Con l’occasione ritengo opportuno rilevare quanto l’analisi del testo sia resa difficile dal fatto che le disposizioni in esso contenute sono condensate in due soli articoli, il secondo dei quali consta di 49 commi ed occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il messaggio legislativo.
    A tale proposito, ritengo che questa possa essere la sede propria per richiamare l’attenzione del Parlamento su un modo di legiferare – invalso da tempo – che non appare coerente con la ratio delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con l’articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata “articolo per articolo e con votazione finale”.

  • Un nuovo Natale per Anna (27.12.04)

    Un nuovo Natale per Anna

    “ Mi chiamo Anna e sono nata in una grande città del nostro paese tre anni fa.
    Quando sono nata la mia mamma e il mio papà non sono stati contenti e non hanno potuto o voluto tenermi con loro. Io sono rimasta per tanti giorni in un ospedale e dopo alcuni mesi sono stata accolta in un istituto con tanti altri bambini. In quella casa non sono riuscita a provare la gioia di avere una mamma e un papà tutto per me, anche se le persone che mi stavano intorno cercavano di fare del loro meglio per non farmi sentire questa mancanza.

    Da circa un anno un’altra mamma e un altro papà mi stavano cercando a tanti chilometri di distanza, e io non potevo certo immaginarlo! Avevano chiesto, attraverso tutti i tribunali per i minorenni d’Italia, dove mi ero nascosta. Finalmente questa richiesta arrivò a chi conosceva la mia storia, che si preoccupò subito di avvisare che io li stavo aspettando. Loro sarebbero partiti il giorno stesso, ma per legge erano previste alcune importanti formalità, prima che potessero venire a prendermi. Quando li ho visti per la prima volta ho sentito subito che sarebbero stati la mia famiglia e mi sono messa a giocare con loro come se da sempre avessi conosciuto la loro voce, la dolcezza del modo di fare, i loro sorrisi. La mamma e il papà avevano già cercato e trovato alcuni anni prima un altra bambina che adesso è la mia sorella maggiore. Spero di rimanere per sempre la loro figlia per poter donare tutto il mio amore, e dire “grazie” per aver voluto essere, con grande forza e determinazione, la mia mamma e il mio papà”.

    Anna (nome immaginario) è una bambina sieropositiva per HIV nata da genitori tossicodipendenti ed entrambi sieropositivi, che è stata addotta da una coppia che già in passato aveva voluto dare il calore di una famiglia ad una bambina con la stessa malattia.
    Alla data del dicembre 2003 il “Registro italiano per l’infezione da HIV in età pediatrica” segnala che sono 730 i bambini viventi, infetti da HIV su tutto il territorio nazionale.
    Nella nostra provincia (Trento) sono cinque le coppie che hanno scelto di essere genitori adottivi di ben sette bambini, il cui destino aveva privato del diritto non solo alla salute, ma soprattutto all’amore di un padre e di una madre.

    E’ doveroso sottolineare la particolare sensibilità dei giudici del Tribunale per i minorenni di Trento, che con la collaborazione degli altri Tribunali per i minorenni d’Italia, si impegnano nella ricerca di famiglie, sia per bambini HIV positivi, sia per bambini colpiti da gravi handicap psico-fisici.
    Oggi i progressi della medicina garantiscono ad un bambino sieropositivo l’opportunità di una vita, sia in termini di durata che di qualità, migliori rispetto al passato, pur segnata ancora da pesanti discriminazioni.
    Queste coppie che, con coraggio e determinazione, divengono famiglia per un bambino altrimenti costretto a crescere in una struttura di accoglienza, sono una testimonianza viva e concreta di amore, un amore che tutti noi dovremmo riscoprire ogni giorno, come dono da saperci offrire reciprocamente, non solo nei giorni delle feste di Natale.

    Dott. Antonio Mazza – Medico, primario pediatria – Giudice onorario del T.M. di Trento

  • Non togliete i bambini, unica speranza per un futuro migliore (8.1.05)

    Non togliete i bambini, unica speranza per un futuro migliore
    di Franco Occhiogrosso

    (articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 5.1.05)

    Il 2005 nasce nel peggiore dei modi. Come si possono fare gli auguri di buon anno ai lettori, quando una tragedia senza precedenti si è abbattuta sull’Asia e sul mondo intero; quando siamo in lacrime per i nostri morti, per tutti i morti? Perché, come dice il Presidente Ciampi, la rapidità delle comunicazioni e la televisione hanno prodotto anche la globalizzazione del dolore. E così una tragedia, che – prescindendo dagli italiani coinvolti – in passato ci avrebbe forse interessato poco, oggi ci tocca da vicino, ci porta a non festeggiare il nuovo anno, alle fiaccolate di solidarietà, ai muri pieni di foto dei dispersi come già era accaduto per l’11 settembre, a percorrere strade alternative di comunicazione e di manifestazioni di solidarietà come Internet e gli sms. E il modo in cui questa terribile vicenda si va svolgendo mi induce a qualche riflessione ulteriore. 1) Mi ha colpito l’altissimo numero di dispersi rilevato. Secondo il vocabolario Treccani, disperso si dice di persona scomparsa in occasione di fatti bellici o di una catastrofe senza che sia stato possibile accertare in modo sicuro la sua morte. E in questa catastrofe vi sono tantissimi dispersi. Disperso è in sostanza un modo garbato di dire che una persona è deceduta, lasciando tuttavia aperta la porta alla speranza che non sia così. Ma ciò può valere solo per un breve lasso di tempo. Alla distanza emerge il vero terribile significato di quel termine: il non avere una tomba su cui piangere, il non essere mai giunti ad una certezza, ad una identificazione delle spoglie. Tutta la nostra civiltà da Omero fino a Foscolo si fonda su questa cultura, sul rispetto per i morti e sulla costante ricerca di restituzione delle spoglie. Questa logica è tuttora attuale. E’ quella che ha portato ad ottenere le spoglie di Quattrocchi, è quella che rende ancora più triste la morte di Baldoni, la cui salma non è stata restituita. 2) Un altro punto interessante della vicenda è stato il fatto che il popolo degli aspiranti adottanti (per lo più americani ed europei) ha fatto sentire subito la sua voce con la richiesta di adottare i bambini rimasti orfani. Giustamente l’Unicef ha dirottato queste richieste sulle adozioni a distanza. Ricordo che negli anni ’70 in occasione di un confronto tra Paesi di provenienza degli aspiranti adottanti e quelli dei bambini da adottare, molti di questi ultimi spiegarono la loro contrarietà all’adozione dicendo: i bambini rappresentano la nostra speranza per un futuro migliore; se ci togliete i bambini, ci togliete ogni speranza per il futuro. 3) Infine, tante sono state le piccole grandi tragedie individuali. Ha fatto notizia quella della madre che, non riuscendo a salvare dalle acque i suoi due figlioletti, ha trattenuto il più piccolo, affidando l’altro ad una sconosciuta, che però non è riuscita a tenerlo. Questo bambino si è comunque salvato, contando sulle sue forze. Il dramma della madre è ora come spiegare al figlio la sua scelta di salvare il fratello e non lui. E’ forse un problema che si porteranno con sé per tutta la vita: eppure, non basterebbe dire al figlio che si è trattato di una scelta dell’istinto materno, rivelatasi alla fine vincente?


  • L’adozione: solo nell’interesse del minore (12.1.05)

    L’adozione: solo nell’interesse del minore
    di Franco Occhiogrosso

    (articolo pubblicato sulla Gazzetta del mezzogiorno del 10.1.05)

    Non si è ancora spenta l’eco della catastrofe del Sud-est asiatico, non si conosce ancora il numero dei morti e dispersi (che forse non sarà mai accertato) che già l’attenzione dell’opinione pubblica si è spostata altrove, alla gara degli aiuti umanitari, all’elogio per la generosità degli italiani, al pubblico ringraziamento per tale generosità. A costo di andare controcorrente non mi sento di condividere questo entusiasmo e sono anzi convinto che i fondi raccolti siano di entità molto inferiore a quella che si sarebbe ottenuta, se la gente avesse maggiore fiducia nelle capacità di coloro che sono chiamati a gestirli, se ritenesse che la trasparenza conclamata sia realmente praticata. E motivi di dubitare di ciò ve ne sono. 1) Il primo riguarda i paesi destinatari degli aiuti: risulta che la prima richiesta fatta da un ministro del governo di Giacarta alla delegazione UE recatasi a conoscere la situazione è stata: qual’è la nostra fetta di torta? Si è concluso che circa il 30% degli aiuti andrà perso per la corruzione esistente in quei paesi. 2) Un altro riguarda il balletto dei candidati al coordinamento degli aiuti. A livello internazionale, gli USA dopo aver costituito il Core Group, una coalizione di Stati destinata a tale compito, hanno poi cambiato idea, decidendo di affidarlo all’ONU, con la singolare motivazione che non intendono strumentalizzare gli scandali recenti del Palazzo di Vetro: e ciò non costituisce certo una garanzia di trasparenza. A livello nazionale, invece, si è finalmente composta la polemica tra Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile ed il ministro Fini: alla prima spetterà la gestione delle donazioni private, alla Farnesina quello dei fondi pubblici. Ma la gente non può non chiedersi il perché di tutto ciò e ricordare quell’antico proverbio, secondo cui chi sparte ha la migliore parte. 3) Colpisce poi la disorganizzazione degli interventi: il fatto che gli aiuti italiani restino ammassati all’aeroporto, mentre alcuni feriti hanno sacchi di spazzatura al posto delle lenzuola. 4) E non manca di incidere su tutto il ricordo delle precedenti esperienze di soccorsi mai pervenuti ai destinatari: primo tra tutti quello della missione Arcobaleno. 5) In questo contesto si spiega perché la gente preferisca per gli orfani del maremoto la via dell’adozione a distanza (se ne annunciano mille nella sola Milano), che ciascuno effettua di persona e con diretto controllo delle somme elargite. E invece torna con insistenza il discorso della riforma della legge sull’adozione. Ora è Dalila Di Lazzaro che dichiara di voler riprendere la sua battaglia e propone una petizione popolare e poi addirittura un referendum. In proposito va ribadito con forza che l’adozione deve essere fatta solo nell’interesse dei minori (che non votano, non sottoscrivono petizioni, né partecipano a referendum) e che ogni volta che si parla di semplificazione della legge si fa invece l’interesse degli adulti. Ciò ha bene inteso il recente documento in materia curato dalla Commissione bicamerale per l’infanzia, che potrebbe essere la base per un serio inizio di riflessione.

    Franco Occhiogrosso

     


  • La Rete Europea degli Osservatori Nazionali sull’Infanzia ChildONEurope: origini, attività, reperimento e comparazione di dati qualitativi e quantitativi (28.1.05)

    La Rete Europea degli Osservatori Nazionali sull’Infanzia ChildONEurope: origini, attività, reperimento e comparazione di dati qualitativi e quantitativi
    di Joseph Moyersoen*

    1. Le origini di ChildONEurope

    Per comprendere le origini della Rete europea degli osservatori nazionali sull’infanzia (qui di seguito ChildONEurope), dobbiamo risalire al semestre europeo di Presidenza di turno della Repubblica francese, che si è svolto nella seconda metà del 2000. Infatti è in tale momento che venne deciso dai Paesi dell’Unione europea, di istituire un coordinamento politico in materia di infanzia e adolescenza, con il compito di adottare un Piano d’azione, organizzare una giornata “europea” dell’infanzia e costituire un Gruppo Permanente Intergovernativo denominato L’Europe de l’Enfance.

    Tale Gruppo Intergovernativo ha svolto riunioni periodiche tra i rappresentanti dei Ministeri nazionali competenti in materia di infanzia e adolescenza durante ogni Presidenza di turno dell’Unione Europea, nonché incontri a livello degli stessi Ministri competenti per l’infanzia, in particolare sotto la presidenza francese, belga e italiana. La creazione del Gruppo permanente intergovernativo L’Europe de l’Enfance si basa non solo sulla volontà di conoscere meglio le condizioni di vita di bambini e adolescenti all’interno dell’Unione europea, le politiche che li riguardano e le “buone pratiche”, ma evidenzia anche l’esigenza di un confronto per la lotta contro i fenomeni transnazionali, sempre più numerosi, che hanno un impatto negativo sui minori, basti pensare a titolo esemplificativo ai minori stranieri non accompagnati, al traffico di minori ai fini di sfruttamento della prostituzione, dello spaccio di droga e della commissioni di altri reati, al materiale pedo-pornografico scambiato e diffuso via Internet.

    continua

    * Esperto giurista per le attività del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, coordinatore del Segretariato della Rete europea degli osservatori nazionali sull’infanzia – Giudice onorario presso il T.M. di Milano

    Articolo pubblicato sul n. 32 di “Questioni e Documenti”

    Sito interntet di ChildONEurope: http://www.childoneurope.org/

     

  • Figli della mafia (3.2.05)

    Figli della mafia
    di Saverio Abbruzzese*

    Una madre forte e severa, con delle regole ferree, che non ammette disobbiedenza. Ma anche una madre premurosa, che non ti fa mancare nulla, che ti da rispetto, identità, denaro. Esattamente ciò di cui hanno bisogno questi ragazzi, che diventano sempre più numerosi, attratti da queste “sicurezze”, che nessun’altro è in grado di offrire.

    Una madre attenta ai bisogni dei propri figli, soprattutto di quelli che non hanno altro modo di vederli soddisfatti. Ragazzi che vivono nella marginalità e di cui non si occupa nessuno, spesso nemmeno i genitori.

    Credete che non ci sia nessun collegamento fra una bambina di 16 mesi che muore di fame ed un ragazzino che viene reclutato dalla malavita organizzata? Non solo questo collegamento c’è, ma sono sicuro del fatto che questi episodi di cronaca rafforzano in questi ragazzi il desiderio di affiliarsi. Per loro è l’unico modo per trovare cura, per trovare una “base sicura” a cui affidarsi. Perché è questo che sta accadendo dalle nostre parti. Il mafioso sta diventando una figura di riferimento in cui identificarsi ed a cui affidarsi.

    continua

    * Psicologo, psicoterapeuta, già Giudice onorario del T.M. di Bari, membro del Consiglio direttivo dell’AIMMF

     


  • Una gran buona notizia dagli Stati Uniti (2.3.05)

    Una gran buona notizia dagli Stati Uniti.
    di Giancristoforo Turri*

     

    Il 1° marzo, la Corte Suprema ha dato lo stop alla pena di morte per chi ha commesso delitti da minorenne. Con cinque voti contro quattro è stata decretata la fine di un abominio che in quel pur grande e civile Paese aveva avuto inizio nel 1642 con l’esecuzione di Thomas Graunger, in Massachusetts. Dopo di lui, almeno 350 giovani che avevano commesso gravissimi reati da minorenni sono stati egualmente giustiziati.

    Ad un’ottantina di ragazzi la sentenza della Corte Suprema risparmierà la vita. Evviva!

    Gli Stati uniti si sono schiodati dall’abominevole elenco degli Stati nei quali la pena capitale è applicabile anche ai minorenni: Sudan, Filippine, Arabia Saudita, Nigeria (in questi ultimi due Paesi da molto tempo non si ha notizia di avvenute esecuzioni) e Iran, dove la legge approvata dal Parlamento sarebbe all’esame del Consiglio dei Guardiani. Il Paese guida ha seguito l’esempio recente di Pakistan, Yemen, Congo e Repubblica Popolare Cinese (dove, peraltro, nonostante l’abolizione, le esecuzioni contro i minorenni sarebbero proseguite, secondo notizie diffuse da Amnesty International).

    Il plauso alla decisione della Corte Suprema è senza riserve.

    Ed è ancora più sentito, perché cade in una stagione in cui l’avvitamento dello Stato americano – parzialmente condiviso da non pochi Paesi europei- in una spaventosa spirale repressiva aveva da tempo investito i minorenni, sistematicamente equiparati agli adulti nei giudizi per reati particolarmente gravi.

    Né è sminuito dalla risicata maggioranza con cui alla decisione si è pervenuti. Tale dato ci deve soltanto fare riflettere, da un lato, sulle radici profonde che ha, in quella cultura, il sentimento favorevole ad una “giustizia” implacabile e, dall’altro lato, ci deve sollecitare ad essere pronti e solerti nel respingere iterazioni o ricadute in versioni vendicative della giustizia penale minorile.

    *Procuratore della Repubblica T.M. Trento

  • L’uso di alcuni psicofarmaci causa una maggiore esposizione al rischio di cancro e di mutazioni genetiche per i bambini (14.4.05)

    L’uso di metilfenidato (principio di alcuni psicofarmaci) causa una maggiore esposizione al rischio di cancro e di mutazioni genetiche per i bambini; si rendono noti i risultati di una ricerca statunitense sul rischio di mutazioni genetiche e cellulari in bambini trattati con il Metilfenidato Ritalin(R)


  • Gianni Rodari: venticinque anni dalla sua scomparsa (14.4.05)

    Biografia tratta dal sito www.giannirodari.it

    L’infanzia a Omegna
    Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna sul Lago d’Orta in cui i genitori originari della Val Cuvia nel Varesotto si trasferiscono per lavoro.

    Gianni frequentò ad Omegna le prime quattro classi delle scuole elementari. Era un bambino con una corporatura minuta e un carattere piuttosto schivo che non lega con i coetanei. È molto affezionato al fratello Cesare mentre a causa della notevole differenza di età è poco in confidenza con il fratello Mario.
    Il padre Giuseppe fa il fornaio nella via centrale del paese e muore di bronco-polmonite quando Gianni ha solo dieci anni. In seguito a questa disgrazia la madre preferisce tornare a Gavirate il suo paese natale.

    La gioventù e l’adolescenza a Gavirate e l’esperienza del seminario
    Nel varesotto vive dal 1930 al 1947.
    Frequenta la quinta elementare a Gavirate.
    Il 5 agosto 1931 fa richiesta di entrare in seminario per frequentare il ginnasio. Nell’ottobre dello stesso anno entrerà quindi nella IC del seminario di Seveso. Gianni si distingue subito per le ottime capacità e risulterà infatti il migliore della classe. Risultati che furono poi confermati anche nella seconda classe. All’inizio della classe terza, nell’ottobre 1933 si ritirò. Concluse l’anno scolastico a Varese, ma non proseguì gli studi liceali bensì optò per le scuole Magistrali. Frequentò con profitto la quarta classe nel 1934-35 e venne ammesso al triennio superiore. Il 25 febbraio 1937 abbandonò gli studi per presentarsi alla sessione estiva con l’intento di sostenere direttamente gli esami e guadagnare così un anno.
    Già a partire dal 1935 Rodari militava nell’Azione Cattolica. Dai verbali delle adunanze di Gavirate risulta che nel dicembre dello steso anno Gianni svolgeva già la funzione di presidente. Anche l’anno successivo fu dedicato molto all’organizzazione cattolica.
    Nel 1936 pubblicò otto racconti sul settimanale cattolico L’azione giovanile e iniziò una collaborazione con Luce diretto da Monsignor Sonzini.
    Nel 1937 iniziò un periodo di profondi cambiamenti. Nel marzo lasciò la presidenza dei giovani gaviratesi dell’Azione cattolica e da allora i rapporti con questa si allentarono molto. Tra la primavera e l’estate il suo massimo impegno venne dedicato allo studio e a soli 17 anni conseguì il diploma magistrale.
    In quegli stessi anni Rodari leggeva molto e amava la musica. Andò per tre anni a lezione di violino. Molto sensibile, si confidava solo con pochi amici. Aveva una grande curiosità intellettuale e cominciò a leggere le opere di Nietzsche, Stirner, Schopenhauer, Lenin, Stalin e Trotzkij. “Queste opere, – commenta- ebbero due risultati: quello di portarmi a criticare coscientemente il corporativismo e quello di farmi incuriosire sul marxismo come concezione del mondo”.
    Nel 1939 si iscrive all’Università cattolica di Milano, alla facoltà di lingue. Abbandonerà poi l’esperienza universitaria dopo alcuni esami, ma senza laurearsi. Nel frattempo inizia ad insegnare in diversi paesi del varesotto.
    Nel 1940, quando l’Italia entra in guerra Rodari viene dichiarato rivedibile e non viene richiamato alle armi.
    Nel 1941 vince il concorso per maestro ed incomincia ad insegnare ad Uboldo come supplente. Fu un periodo molto duro di cui ha un forte ricordo. Si iscrive al partito fascista e accettò di lavorare nella casa del fascio pur di tirare avanti. I drammatici avvenimenti della guerra lo colpiscono profondamente negli affetti personali quando apprende la notizia della morte degli amici Nino Bianchi e Amedeo Marvelli, mentre il fratello Cesare nel settembre del 1943 viene internato in un campo di concentramento in Germania.
    Subito dopo la caduta del fascismo Gianni Rodari si avvicina al Partito Comunista, a cui si scrive nel 1944 e partecipa alle lotte della resistenza.

    Gli anni del giornalismo politico tra Milano e Roma
    Subito dopo la guerra viene chiamato a dirigere il giornale “Ordine Nuovo”, nel 1947 viene chiamato all’Unità a Milano, dove diventa prima cronista, poi capo cronista ed inviato speciale.

    Mentre lavora come giornalista incomincia a scrivere racconti per bambini. Nel 1950 il Partito lo chiama a Roma a dirigereil settimanale per bambini, il “Pioniere”, il cui primo numero esce il 10 settembre 1950. Nel 1952 compie il primo dei diversi viaggi che farà Urss.

    In quegli anni pubblica Il libro delle filastrocche ed il Romanzo di Cipollino. Nel 1953 sposa Maria Teresa Feretti, dalla quale quattro anni dopo ha la figlia Paola.
    Dal settembre 1956 al novembre 1958 torna a lavorare all’Unità diretta da Ingrao. Farà l’inviato e poi il responsabile della pagina culturale e infine il capocronista. Nel 1957 supera l’esame da giornalista professionista.
    Il 1° dicembre 1958passa a lavorare a Paese sera. Si realizza finalmente la scelta che contrassegnerà tutta la sua vita: affiancare al lavoro di scrittore per l’infanzia quello di un giornalismo politico non partitico.

    Gli anni della scrittura per l’infanzia e della notorietà
    Nel 1960 incomincia a pubblicare per Einaudi e la sua fama si diffonde in tutta Italia. Il primo libro che esce con la nuova casa editrice è Filastrocca in cielo ed in terra nel 1959.
    Solo nel 1962-63 raggiunge una certa tranquillità economica grazie alla collaborazione a La via migliore e a I quindici.

    Dal 1966 al 1969 Rodari non pubblica libri, limitandosi a una intensa attività di collaborazioni per quanto riguarda il lavoro con i bambini. Lascia Paese sera e nel l970 vince il Premio Andersen, il più importante concorso internazionale per la letteratura dell’infanzia, che accresce la sua notorietà in tutto il mondo.
    Nel 1970Ricomincia a pubblicare per Einuadi ed Editori Riuniti, ma la sua prodigiosa macchina creativa non sembra più girare a pieno regime. Non è solo a causa del grande successo, ma anche della grande mole di lavoro e della sua condizione fisica.
    Nel 1974 si impegna nel rilancio del Giornale dei genitori, ma subito cerca di disimpegnarsi. Cosa che accadrà agli inizi del 1977.
    Al ritorno da un viaggio in Urss Gianni Rodari nel 1979 comincia ad accusare i primi problemi circolatori che lo porteranno alla morte dopo un intervento chirurgico il 14 aprile del 1980.